Il discobolo del Paradiso perduto

A lungo immoto stette per meraviglia a contemplarla.
John Milton, Paradiso perduto, 1667.

Poi (dietro un avverbio c’è sempre una storia) c’è quella statua, invisibile ai più, ai distratti, copia plastica del celeberrimo Discobolo, posta in fondo dov’era l’entrata, lì sul finir degli scalini, con un avanzo di palma ai suoi piedi; statua bianca su cui polvere e smog hanno disegnato perfette ombreggiature del tipo kolossal epico Cabiria. Vero spettacolo.
È quel che rimane del Paradiso di Sedico, la discoteca oramai chiusa alle serate, alle occhiate dardeggianti, ai Tony Manero, alle febbri del sabato sera (quando le febbri erano solo febbri) e vai col liscio Romagna mia. Fine di un’epoca. Va bene.
Ma quel prospetto, quell’entrata, è qualcosa di eterno. Sta lì, oramai per nessuna ragione, se non apparire in tutta la sua bellezza. Un insieme di esotico spento finto balneare che langue nel fondo giallo canarino; e tra quelle quinte, quella copia di discobolo: un trash che trascina dietro di sé millenni di cultura greca come i barattolini legati al paraurti delle auto Just married, sì, insomma, un capolavoro, non dirò post moderno, perché se ne abusa, ma capolavoro sì.
Confesso che talvolta sto immoto lì davanti, in contemplazione di quell’insieme, alienato dal contesto che lo circonda, accompagnato dal basso continuo con effetto Doppler di auto e autoarticolati che sfrecciano sgasando dove non potrebbero sfrecciare, né tantomeno sgasare, ma tant’è, a chi importa, sto lì, in quell’impiastro di idrocarburi e frammenti di freni (a disco) e gomme, a contemplare quel fermo immagine di un tempo che ha regalato, previo biglietto, ingressi, luci, giravolte e ribellioni di provincia, figli, zampe di elefante, vite basse, vite riuscite e ricco assortimento di sussulti erotici.
La guardo, quella statua, e la traguardo, dal bordo strada: finto discobolo di Mirone, nel suo apollineo avvitamento, pronto a lanciare il disco nella hit parade di ballabili che oggi nessuno balla più. E confesso: spero che rimanga lì per molto, anzi per sempre, unica cosa vera tra l’insignificanza che avanza.
E invito chi, come il sottoscritto, nella discoteca Paradiso non mise mai piede, o forse non se lo ricorda più, a fermarsi lì, al principio della strada regionale 203, e godersi il Paradiso perduto, anche quale sublime surrogato di un Natale che non c’è (quasi un Presepe), nonché orgoglioso e grande anticipo di periferia del Pantone Color of the Year 2021, giallo e grigio.