
In cassa. Questo.
- Pubblicato 5 Gennaio, 2021
Nel senso di cassa del supermercato o iper/megamercato e chi più ne ha più ne metta (di prefissi) e, alla cassa, tu, il consumatore medio. Ovvero: là dove la biomeccanica non tiene il passo alla digitalizzazione, con effetti collaterali di ripetuto collasso esistenziale. Il tuo.
I fatti. Poggi tutto quello che hai comprato sul nastro trasportatore che muove verso la cassa (e, da quel momento, non c’è ritorno. Poi arriva il tuo turno. “Buongiorno, ha la tesserina?” (mega prefissi, mini suffissi) e subito ti posizioni alla zona atterraggio, al di là della cassa pagamenti, pronto a raccogliere e insaccare l’acquistato: confezioni, barattoli, bottiglie, cibi pronti, cibi freschi, tante scatolette etc. I beni alimentari.
Bene. Cioè, male. Perché lì tutto acquista una accelerazione da ritorno al futuro, e pochi secondi dopo il transito del primo acquisto sul lettore ottico della cassa, tu sai già che non potrai mai stare dietro alla velocità con cui l’addetto alla cassa passa e lancia i prodotti sullo scivolo di atterraggio. Raffiche di lanci in una successione velocissima. E in un battibaleno, lo scivolo si riempie di tutto, al primo strato orizzontale si sovrappone un secondo verticale, e l’addetto lo vedi felice e già muta espressione, in un muto ma inequivabile ghigno di disapprovazione per la tua incapacità di insaccare ed essere veloce come il suo strumento ottico, costringendolo, e te lo fa capire, costringendolo a spingere col braccio la massa sullo scivolo verso di te, per riempire subito il vuoto appena creato con altri prodotti, insensibile al tuo rantolo, egli spinge e ti spinge a essere più veloce e lì, in quel momento, generazioni e generazioni di addetti impegnati a fare il conto del totale, pezzo dopo pezzo, con calcolatrice o a mano con carta e penna, con i tuoi avi alla cassa, impazienti e infastiditi, ora si rivalgono su di te, vendicandosi con tutti gli interessi, grazie al trasloco del collo di bottiglia dalla cassa a mezzo metro più in là, su di te, umano, troppo umano.
Il climax dell’azione raggiunge l’apice quando l’addetto manovra il tergicristallo che pulisce lo scivolo per riaprirlo al cliete successivo, che già ti preme sul collo, infastidito, avendo quasi sempre, il fellone, due scatolette di tonno due da pagare e tanta, tantissima fretta, mentre tu gli blocchi la cassa, l’uscita, la giornata, la vita tutto, in pratica, con la tua goffaggine e intanto l’addetto ti comunica il totale da pagare, dunque sospendi le operazioni di carico e ti allunghi plastico verso la cassa, perché nel frattempo il fellone di cui sopra, ha ostruito l’ingresso del corridoio della cassa e dunque per pagare ti devi stendere sullo scivolo, dopo aver contato i soldi, perché pagare in contanti contando le monetine, una a una, è la tua vendetta, tanto al braccio che muove il bamcomat per digitare il codice non ci arriveresti mai, perché il fellone sta lì e non accenna a spostarsi, ti odia e fraternizza il suo sadico piacere di vederti in difficoltà con l’altrettanto sadico ghigno delll’addetto alla cassa, che ti guarda, impenetrabile, dal suo trespolo, con il lettore ottico in pausa forzata e la colpa è tua, solo tua, tutti aspettano i tuoi poprci comodi, e il cliente successivo è sul punto di scoppiare, un niente e potrebbe aprirsi la strada con la forza, a mano armata, per riprendersi la sua vita che l’aspetta fuori, con le due scatolette di tonno, mentre tu soccombi al peso della spesa, alla tua inettitudine, alla tua bio-meccanica che non sta al passo con i tempi e caracolli tra sacchetti e trolley verso l’uscita, vinto dalla consapevolezza che chi rallenta il mondo intero sei proprio e solo tu.