Genere, scriviamo di. E una modesta proposta.

In genere, un genere di cose, genere tassonomico, genere grammaticale. Genere. Qui scriviamo di genere televisivo, o generi televisivi, quel che un tempo fu Istituto Luce e oggi solo luce, nel senso di (canone nella) bolletta della.
Qui scriviamo di genere televisivo perché scrivere di genere televisivo è anche scrivere di genere grammaticale e dunque di genere maschile e genere femminile (il neutro si perse per strada, si sa).
Scrivere di genere televisivo, infatti, obbliga a fare i conti (sempre nel senso di bolletta) con il genere grammaticale maschile e con il genere grammaticale femminile, ovvero: “televisore”, di genere maschile, per l’apparecchio che riceve il segnale e lo rende manifesto; e “televisione”, di genere femminile, per tutto ciò che il televisore riceve e manifesta, dal segnale ai programmi del palinsesto, etc. Il televisore. La televisione.
Ora, il (cosiddetto) canone Rai, si sa, è una tassa di proprietà, una imposta imposta per il possesso di un televisore (non per il suo utilizzo), imposta destinata alla Rai Radiotelevisione Italiana. Si può dunque, a ragione, scrivere che il televisore, genere maschile, mantiene la televisione, genere femminile. Le paga gli alimenti.
Il che, alla luce (ancora lei) dell’attuale discussione sulla parità di genere e sulle libertà di identità di genere, come si dice, storce. C’è qualcosa che non va.
In base a quale principio, infatti, il televisore deve provvedere al mantenimento della televisione, constatato che la televisione ha una attività in proprio, fonte di reddito attraverso sponsor e pubblicità? Ancora, il televisore, inteso come apparecchio atto a ricevere i segnali radiotelevisivi, perché non può sentirsi libero di astenersi da ogni rapporto con la televisione, “bastare a sé stesso”, restando un semplice soprammobile, nel pieno disinteresse per il genere femminile, cioè per la televisione e le televisioni?
Il pregiudizio che un televisore non possa vivere senza una televisione, come se questa relazione fosse necessaria, è a tutti gli effetti un pregiudizio, sì, di genere televisivo, ma pur sempre di genere, retaggio patriarcale ingiusto e ingeneroso.
Ora, dunque, scrivere di genere, genere televisivo, porta a sollevare un dubbio riguardo al dovere, da parte del televisore, di pagare un assegno di mantenimento alla televisione, perché la televisione deve rivendicare parità di genere col televisore, televisore che oggi può frequentare altri generi di trasmissioni oltre a quello femminile della televisione, ad esempio trasmettere sé stesso quale mero oggetto da contemplare, tacendo, tempus tacendi, e facendo solo bella mostra di sé, là, nel salotto.
E qui, dunque, la modesta proposta: cambiamo genere televisivo, spegniamo la televisione e guardiamo il televisore.
Fa bene a noi, fa bene all’energia, fa bene all’ambiente.