Non ho capito.
- Pubblicato 13 Marzo, 2023
Capita che la parte migliore di un libro sia il titolo della copertina.
E, se è tradotto, troppo spesso capita che non sia all’altezza del titolo originale.
“Quando abbiamo smesso di capire il mondo” fa eccezione: il titolo dell’edizione italiana del romanzo è originale tanto quanto quello originale: Un verdor terrible (Una vegetazione terribile).
In più, il contenuto del romanzo soddisfa le aspettative suscitate non da uno, ma da entrambi i titoli. Capita anche questo.
Se proprio: forse qualche dettaglio morboso in meno, nel racconto, non avrebbe sminuito l’opera; tuttavia, ci sta, se, come sembra, l’autore ha voluto sfatare quell’aurea di mistica incorporea che tradizionalmente avvolge i geni della scienza. Beh, non è così: ossessioni, discredito, malattie e afflizioni, e bollette da pagare, hanno segnato le più rivoluzionarie scoperte scientifiche del 900, dalla chimica alla matematica alla fisica, al punto che, ripercorrendone le genesi, sembra un miracolo che tutto sia potuto accadere.
E invece le rivoluzioni sono arrivate e il risultato è stato che: “non solo la gente comune: nemmeno gli scienziati capiscono più il mondo. Prenda la meccanica quantistica… sta alla base di internet, dei telefoni cellulari… Sappiamo come usarla, funziona per una sorta di miracolo e tuttavia, su questo pianeta, non c’è una sola anima, viva o morta, che la capisca veramente”. E il titolo italiano è soddisfatto.
Quanto al titolo originale, Un verdor terrible (Una vegetazione terribile), ci avverte il giardiniere notturno della storia, il timore è che, di non capire in non capire, si arrivi a soffocare qualsiasi forma di vita sotto una terribile cappa verde. Il verdor terrible, appunto. Della serie: saperne di più, per capirci di meno.
Benjamín Labatut, Quando abbiamo smesso di capire il mondo, Adelphi, Milano, 2021 (©2019).